CONVEGNO A.N.P.I. RAVENNA
“Informazione tra Libertà e Diritti – L’art. 21 nell’era della post verità”
Relatore Stefano Foglia
L’art. 21: Libertà e limiti tra pensiero e parola.
Devo doverosamente ringraziare l’ANPI di Ravenna per l’invito, gli organizzatori, le autorità intervenute e tutti coloro che sono qui presenti.
Vorrei esprimervi la mia profonda emozione nell’essere qui oggi a parlare a questa platea.
Ho scelto per il mio intervento sull’art. 21 un titolo: “Libertà e limiti tra pensiero e parola”.
Potrei infatti trattare questi argomenti da diversi punti di vista: da quello dell’ex professore a contratto di diritto pubblico, da quello del professionista che si occupa di fiscalità e che esprime il suo parere con articoli tecnici su alcune riviste, o organizzando convegni e tavole rotonde.
Ne avrei avuto tutta la libertà, ma questa libertà non è arrivata dal cielo, è stata ed è, figlia di lotte, di resistenza, sia in battaglia che nelle aule che hanno visto nascere quel testo di Costituzione che oggi, nel nostro piccolo, proviamo ad onorare.
Ma ho scelto e sottolineo, ho scelto liberamente, un punto di vista differente, scelto non a caso: il punto di vista dello scrittore.
Nessuno degli organizzatori mi ha detto devi parlare di questo e di quello, mi ha assegnato un tema, ed io ho scelto da che punto di vista declinarlo.
Me ne assumo io la responsabilità in prima persona.
L’ho fatto perché ho la libertà di farlo, non perché io sia una persona speciale o il marchese del grillo, ma perché è una libertà che riguarda tutti, in fondo oggi parliamo proprio di questo.
Consentitemi quindi, prima di addentrarmi in questa trattazione sull’art. 21, una breve divagazione utile alla discussione, utilizzo questo termine, discussione perché avrei molto piacere, dopo le mie parole, di sentire le vostre.
Sto di fatto manifestando liberamente il mio pensiero in questa relazione, e posso quindi liberamente scegliere come trasferirvi il mio punto di vista, non soltanto sulla libertà di manifestazione del pensiero, ma anche su quelli che possono essere i suoi limiti, definiti in maniera espressa e precisa, che sono previsti dalla Costituzione stessa, come vedremo a tutela di altri diritti o libertà fondamentali e che nascono dalla precisa volontà di non essere autoritari, ma non per questo privi di regole, in fondo siamo sempre soggetti alla legge.
Inizio il mio racconto sull’art. 21 raccontandovi di Ray Bradbury, di Fahrenheit 451, scritto nel 1953, molto vicino temporalmente a quel 1948 che ha portato l’entrata in vigore della nostra Carta costituzionale, per fare un ragionamento a contrariis, partendo da quello che potremmo definire un racconto di resistenza.
Guy Montag è un pompiere, ma in quell’ universo sovvertito, i pompieri non spengono gli incendi, li appiccano, danno fuoco alle case dei sovversivi che conservano libri e carta stampata, nonostante custodirli sia vietato dalla legge.
Per Guy era una gioia appiccare il fuoco, era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. Montag è felice del suo lavoro, del distintivo con la salamandra che porta appuntato al braccio e che comunica immediatamente a tutti qual è il suo ruolo nella società.
Tutela l’ordine, appicca il fuoco, questa soddisfazione sembra però incrinarsi a poco a poco, l’incontro con una giovane ragazza di nome Clarissa genera in lui i primi dubbi.
“Sei felice?”, gli chiede, e forse per la prima volta Montag inizia a chiederselo.
“Sono felice? Io e mia moglie, siamo felici?”
Questa prima piccola crepa nella vita, apparentemente perfetta, di Montag è destinata ad allargarsi inesorabilmente quando la sua squadra viene chiamata, per appiccare un incendio all’ 11 Nord Elm. Trova ad attenderla l’anziana proprietaria di casa decisa a non abbandonare i propri libri, Montag raggiunge la soffitta e viene immediatamente travolto da una pioggia di volumi, come ipnotizzato, nel leggere una riga, non riesce a resistere alla tentazione di portarne via uno, se lo stringe al petto e lo nasconde sotto la divisa.
A nulla valgono i tentativi della squadra di convincere l’anziana signora ad abbandonare la propria abitazione, sarà lei stessa ad appiccare l’incendio, con un fiammifero da cucina, decisa a morire insieme a tutti i suoi libri.
Qualsiasi certezza fosse ancora rimasta per Guy, viene definitivamente cancellata, che senso ha il suo lavoro, la sua missione sulla terra, che cosa contengono tutti quei volumi?
Perché si è deciso di cancellarli definitivamente dal pianeta?
La sua sete di conoscenza è sempre più grande e non può essere messa a tacere qualsiasi sia il prezzo da pagare.
Guy, un nome proprio di persona ma anche in inglese contiene un modo di dire, “hey guy”, vuol dire ehi ragazzo: Guy è l’uomo, il ragazzo, il tipo qualunque che si nasconde tra le righe di questo romanzo, tra le parole e i pensieri del suo autore e ci fa riflettere su cosa sia la libertà di manifestazione del pensiero e la voglia di nutrirsi di conoscenza.
Riflettiamo insieme un ultimo istante su quella frase:
La sua sete di conoscenza non può essere messa a tacere, qualsiasi sia il prezzo da pagare!
Si sono verificate realmente scene di dittature che portavano libri in piazza per bruciarli, alcune si riferiscono ai momenti antecedenti la Seconda guerra mondiale, penso al maggio del 1933 in Germania, altre sono più vicine ai nostri giorni, penso ai libri bruciati e alle librerie saccheggiate in Ucraina, ma potrei fare anche degli esempi medio orientali con i libri iracheni bruciati dall’Isis nel 2015.
Tutte quelle dittature volevano e vogliono la stessa cosa.
Evitare che il pensiero si diffonda, impedire alla conoscenza di muoversi liberamente sul pianeta, in tutti i settori e contesti, a tutte le latitudini.
Con la suggestione di questo romanzo distopico del 1953, dopo che l’umanità ha vissuto il fascismo, il nazismo, e oggi che abbiamo visto anche altri regimi autoritari, volevo stimolare una riflessione su cosa è il diritto a manifestare il proprio pensiero, su come si trasmette la conoscenza, invero parlando di Fahrenheit 451 vi stavo già raccontando dell’art. 21 della Costituzione.
Ma entriamo nel contesto giuridico siamo nella Suprema Carta della Repubblica, parte I Diritti e doveri dei cittadini, Titolo I, Rapporti Civili.
Art 21
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. (comma 1)
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (comma 2)
La tutela della libertà di pensiero si giustifica in quanto trattasi di un pilastro di uno stato democratico che ha come base il pluralismo ideologico.
Non c’è democrazia senza opinione pubblica, non c’è sovranità popolare senza informazione e senza la possibilità di poterla esprimere liberamente.
La libertà di manifestazione del pensiero esprime un valore fondamentale dell’odierna società democratica.
La norma in oggetto ne sancisce l’inviolabilità nei confronti di tutti i soggetti e la tutela sotto ogni forma, scritta, parlata e con ogni altro mezzo di diffusione.
Tutti, (“Oi Anthròpoi” come diceva Socrate, il genere umano, non soltanto i cittadini) hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Nello specifico, i mezzi di diffusione sono, oggi più che mai, molteplici, all’interno di tale espressione si può anche celare la libertà di corrispondenza prevista nell’Art. 15.: dai mezzi di diffusione tradizionali, televisione, radio, stampa, spettacoli, a quelli più moderni, come internet i social network, ma anche la narrativa, la poesia, il disegno, la fotografia, la composizione musicale.
L’articolo 21 costituisce il riferimento costituzionale per una serie di questioni ad esempio il pluralismo informativo, i diritti di cronaca e satira di cui tratteremo brevemente, certi che verranno ripresi anche nelle altre relazioni.
La libertà di acquisire e ricevere dati e notizie (che è la base del diritto d’informazione).
Libertà di informare e di essere informati, ma se vogliamo, anche libertà di chiudersi nel proprio silenzio e nel proprio mondo senza notizie o informazioni.
La garanzia della libera manifestazione del pensiero è quindi una condizione imprescindibile per la vita stessa di un regime democratico, in quanto assicura la formazione di un convincimento personale da parte di ogni persona e di una opinione pubblica libera e criticamente fondata.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 84 del 1969 la definisce: “Pietra angolare dell’ordine democratico”.
Una libertà che è tra quelle che meglio caratterizzano il livello di democrazia di un Paese, influenzandone lo sviluppo in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale.
La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino adottata il 10 dicembre 1948 dall’ONU definisce la libertà di pensiero come: “libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni, uno dei diritti più preziosi dell’Uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”.
Le legge quindi e solo quella può individuare dei limiti alla manifestazione del pensiero o indicare forme o regole per manifestarlo, e quindi intravediamo l’esistenza dei limiti e vedremo come sono articolati.
La libertà di manifestazione del pensiero, facciamo attenzione su questo punto, si estrinseca non soltanto nel poter liberamente esprimere il nostro pensiero.
certamente la libertà è anche rinchiusa nella possibilità di non esprimerlo, di trincerarsi nel silenzio.
MA anche libertà vuol dire tenere in considerazione il diritto dell’altro, anche nel far liberamente rappresentare il pensiero a chi ha idee diametralmente opposte alle nostre, se rispetta quelle modalità di manifestazione che la Costituzione concede a tutti.
Questo è un punto importante su cui riflettere bene, con tutta “La Sapienza” che è in noi.
Vorrei leggervi alcuni passaggi tratti da quanto avvenuto durante i lavori dell’Assemblea costituente[1], che ci raccontano il lungo cammino per giungere a questo articolo come lo abbiamo letto e conosciamo oggi, per farvi meglio comprendere le dinamiche all’interno delle quali si è discusso per mesi, parola su parola.
Perché ogni parola poteva costituire l’affermazione di un diverso pensiero.
Perché “le parole sono creature potenti”.
“Presidente Terracini. Procediamo alla votazione dell’articolo 16 (poi diventato 21), comma per comma. Il primo comma, nel testo della Commissione, è così formulato:
«Tutti hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, ed ogni altro mezzo di diffusione».
L’onorevole Andreotti ha proposto di aggiungere, dopo la parola: «Tutti» le altre «i cittadini».
Ghidini. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ghidini. Dichiaro che non voterò la prima parte di quest’articolo con l’emendamento Andreotti, nel senso cioè di sostituire alla dizione ordinaria «Tutti hanno diritto», l’altra «Tutti i cittadini». La ragione è questa: se si tratta di una disposizione, la quale abbia una finalità politica, non vedo la ragione della distinzione che si debba fare fra cittadini e stranieri. Credo che il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, attraverso ogni forma, non appartenga al cittadino in quanto facente parte dello Stato italiano, ma appartenga alla personalità umana. E questo diritto io lo riconosco a tutti: stranieri o cittadini che siano. Se invece con questa sostituzione si mira a creare una misura di carattere protezionista nei riguardi dell’industria editoriale, le opportune misure potranno essere prese in altra sede.
Per questa ragione non voto l’emendamento Andreotti, ma voto invece la prima parte dell’articolo così come è stata deliberata dalla Commissione.
Cappa. Chiedo la parola per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Cappa. Non voto l’emendamento Andreotti; osservo che può essere opportuno limitare la facoltà di dirigere un giornale o di essere editore di un giornale; penso che per questo forse sarà opportuno stabilire la cittadinanza italiana; ma penso anche che non si possa distinguere lo straniero dal cittadino in rapporto a un diritto fondamentale. In questo senso si è pronunciata la Commissione ministeriale che ha redatto il progetto di legge; a questo criterio si ispira il disegno di legge che è stato dal Governo rassegnato all’Assemblea. Voterò la formula come proposta dalla Commissione.
Cevolotto. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Cevolotto. Mi associo alla dichiarazione dell’onorevole Ghidini, osservando che se l’aggiunta che viene proposta fosse approvata, si potrebbe arrivare a tanto da negare il diritto, da parte di un editore, di pubblicare opere, le quali ci portino il pensiero degli stranieri nel campo politico, nel campo artistico, nel campo scientifico; specialmente nel campo politico. Quindi, l’aggiunta avrebbe una portata molto maggiore di quel che sembra a prima vista e potrebbe limitare la estrinsecazione della prima libertà del pensiero. Per queste ragioni, voterò contro.
Tupini. Presidente della prima Sottocommissione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Tupini. Presidente della prima Sottocommissione. Preferisco la formula della Commissione. Per quanto riguarda la stampa, poi, si vedrà in altra sede. Qui si tratta del diritto fondamentale di ognuno di parlare, di pensare, di esprimersi nel modo come egli ritiene più conforme ai principî di libertà. Quindi, sono d’accordo con l’onorevole Cappa; mi dispiace di non esserlo altrettanto con l’onorevole Andreotti. Ma è un mio pensiero personale che non impegna quello dell’intera Commissione.
Andreotti. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. La prego di specificare il motivo.
Andreotti. Chiedo di parlare per motivare il ritiro dell’emendamento.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Andreotti. Avevo presentato questa specificazione non per togliere qualcosa ai diritti essenziali che noi dobbiamo riconoscere agli stranieri, ma perché mi pare che si possa lasciare aperta la strada, al legislatore di domani, di porre alcune limitazioni. Comunque, siccome sono certo che, dato anche l’andamento delle dichiarazioni di voto, il mio emendamento non passerebbe, lo ritiro interamente, ma specifico, che non avrei voluto affatto che fosse considerato come una limitazione che noi potevamo mettere. L’ipotesi fatta, che si potesse vietare in Italia la traduzione di un libro storico, non regge in quanto nessuno avrebbe potuto mai invocare che un tal diritto sarebbe stato da noi negato; era solo una specificazione che si faceva in favore dei cittadini. Comunque, per facilitare la votazione, ritiro il mio emendamento.”
Torniamo un attimo a pensare alla fattispecie in cui non ci sia la libertà di manifestazione del pensiero o di stampa, a quello su cui riflettevano in Assemblea costituente dopo averlo vissuto durante il fascismo, immaginiamo che per dire le cose non si possa esprimere direttamente ed apertamente il nostro pensiero, ma che debba essere mediato o nascosto dietro metafore.
Ci sono moltissimi esempi nella storia della letteratura, la Divina commedia di Dante è certamente uno di questi, ma volevo farvene alcuni un po’ più vicini ai giorni nostri.
Conoscerete tutti il romanzo Moby Dick, ma cosa si cela davvero dietro la storia della balena bianca, incubo di tutti i navigatori?
Cosa può l’autore voler dire, dietro la storia, nascosto tra i diversi livelli di lettura che si possono avere della trama e degli stessi personaggi?
Cosa vuole affermare in un periodo in cui non si godeva della stessa libertà di manifestazione di pensiero di oggi, ma si doveva necessariamente nascondere il proprio pensiero dietro delle metafore?
Il romanzo di Herman Melville scritto nel 1851 è un incredibile manifesto dell’America di metà Ottocento, spinta, da un lato, dal rinascimento artistico che imperversava nel Paese, dall’altro, una America ancora legata ai dogmi rigidi della cristianità e ai pregiudizi, alle limitazioni che questi comportavano con la chiave di lettura dell’epoca in quel contesto geografico.
Inizialmente questo libro fu un insuccesso editoriale che vide poi il successo verso il 1920 circa trent’anni dopo la morte dell’autore.
Sembra incredibile quanto, sfogliando le sue pagine, argomenti come, appunto, il pregiudizio, il razzismo, la chiusura mentale, l’ossessione dell’uomo nel volersi sostituire a Dio, cercando di controllare e prevalere sulla natura, risultino attuali tutt’oggi. Con grande amarezza del lettore più sensibile.
Attraverso il viaggio, l’uomo si fa conscio del fatto che non può sottomettere qualsiasi cosa desideri alle sue leggi, a quelle della ragione, ma ne matura conoscenza ed esperienza quando ormai è già troppo tardi per tornare sui propri passi.
È la balena bianca, uno dei simboli più conosciuti dell’intera letteratura mondiale. Moby Dick è l’incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini si sentono rodere nell’intimo. Moby Dick può essere ciascuno di noi o la reazione divina alla nostra malvagità o alla nostra perversa opera contro la natura.
Ma questo lui ai suoi tempi non lo poteva esprimere in maniera diretta, doveva farlo in maniera mediata e velata.
La varietà dei mezzi di diffusione del pensiero previsti dall’art. 21 permette in teoria il massimo esercizio della libertà stessa, ma la non facile accessibilità economica di taluni mezzi di comunicazione la può limitare di fatto.
Il 10 aprile 1947 l’Assemblea costituente[2] prosegue la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».
Basso, Relatore. […] “Sono state mosse critiche in vario senso all’articolo relativo alla libertà di stampa. È questo un articolo su cui la Commissione si è più a lungo soffermata, perché ha sentito che era più che mai necessario soppesare le singole parole. Noi ritorneremo su questo articolo e diremo quali sono gli emendamenti che accettiamo e quelli che respingiamo. Un punto fermo, comunque, è che qualche principio limite debba essere inserito nella Carta costituzionale e che non si possa in questa delicatissima materia fissare semplicemente il rinvio ad una legge che possa poi disciplinare la stampa senza un controllo costituzionale.
È stato in modo particolare criticato l’istituto del sequestro preventivo, che la Commissione ha ammesso. Io credo che vi siano dei casi in cui non vi dovrebbe essere nessuna possibilità di discutere sull’opportunità di questo sequestro preventivo, e sono i casi in cui vi è una violazione delle norme amministrative sulla pubblicazione della stampa; quando, ossia, si pubblica il giornale, la rivista, la pubblicazione periodica senza l’indicazione del gerente responsabile, quando si stampa qualsiasi cosa senza l’indicazione del tipografo, quando cioè ci sia in chi stampa il desiderio di sottrarsi alla responsabilità che deve assumere. Evidentemente in tali casi è giusto che la legge intervenga ed ordini l’immediato sequestro di questa stampa, perché se noi vogliamo difendere la libertà dei cittadini e della stampa, la vogliamo però difendere nella stessa misura in cui colui che ritiene di valersi di questa libertà, si assume la responsabilità relativa; e sarebbe veramente un non senso che difendessimo la libertà di stampare da parte di colui che non si assume la responsabilità delle cose che dice e che stampa. Vi è quindi una connessione fra il principio di responsabilità e il principio di libertà, e giustamente, io credo, la Commissione ha ritenuto che nei casi di violazione di norme amministrative si possa introdurre il sequestro preventivo.
……………………………..omissis…………………………..
Ma quello che bisogna distinguere sono le due ipotesi: quella di violazione delle norme amministrative e quella del reato contenuto nel testo che si stampa. In questa materia vi è una norma che è stata oggetto di critiche ed è quella relativa al comma ove si dice che la legge può stabilire dei controlli sulle fonti di finanziamento e di informazioni. Io credo che questa norma vada collegata nel quadro accennato di un rapporto fra il senso di responsabilità e la libertà dei cittadini. È giusto che sia riconosciuta la libertà di stampa; è giusto però che questa libertà sia accompagnata dalle responsabilità che non sono soltanto le responsabilità di colui che firma, ma sono anche le responsabilità di colui che finanzia e di colui che dà le notizie che si pubblicano. Credo che questa sia una nuova conquista della libertà di stampa. Ma qui rientreremmo in norme particolari, sulle quali ci ritroveremo a parlare quando discuteremo dei singoli articoli”.
[…]
Tornando infatti al dettato testuale dell’art 21 per approfondirne ulteriormente il contesto.
Art. 21
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. (comma 2)
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.(comma 3)
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. (comma 4)
Nel periodo fascista i controlli sulla comunicazione erano penetranti. Esattamente come descritto nel libro citato all’inizio. C’era un controllo preventivo, tutto era vagliato e analizzato, il pensiero diverso era distrutto e punito come sappiamo anche fisicamente, anche crudelmente.
Ci sono molte pagine di verbali delle discussioni dell’Assemblea costituente che trovate anche in rete, che ci consentono di dare un’interpretazione autentica di come Il costituente all’opposto, ha scelto di limitare i controlli fortemente, consentendoli solo alle precise indicazioni di cui ai commi 3 4 dell’art 21 (introducendo sia una riserva di legge assoluta e rinforzata sia una riserva di giurisdizione) e vietando qualsiasi censura (al comma 2).
Per quanto concerne la libertà di stampa, oggetto di ampia tutela, l’articolo 21 sancisce vari principi. Viene esclusa ogni forma di autorizzazione preventiva, unitamente a qualsiasi forma di censura successiva alla redazione dello stampato.
Anche la registrazione obbligatoria dei periodici (e ormai anche delle testate online) presso i tribunali della circoscrizione di pubblicazione[3] non è una misura repressiva, ma uno strumento volto ad agevolare l’eventuale sequestro e non può mai comportare un controllo nel merito per autorizzare o meno la pubblicazione.
Esistono poi dei limiti impliciti all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, in quanto possono verificarsi collisioni con altri interessi o libertà ugualmente rilevanti e tutelati dalla Costituzione e delle leggi vigenti.
Un esempio del necessario bilanciamento tra valori parimenti riconosciuti dalla Costituzione è quello tra l’art.21 e il riconoscimento alla pari dignità sociale, anteposto persino all’uguaglianza e contenuto nell’art. 3 della Cost.
Una esternazione operata con qualsiasi mezzo che comprometta la dignità sociale di una persona incide sul rispetto della dignità dell’essere umano, prima ancora che sull’attribuzione di diritti e doveri.
Altro esempio di contrasto tra diritti parimenti garantiti riguarda l’esercizio del diritto di cronaca e i diritti delle personalità, in primo luogo quelli alla riservatezza e all’onorabilità tutelati in parte dalla costituzione e in parte dalla legge come il D.lgs. 196/2003 sulla privacy.
Ma il bilanciamento tra diritti può anche riguardare la sfera economica e su questo punto vi racconto la storia di un famoso scrittore italiano contemporaneo: Antonio Moresco.
Per diventare scrittore ha dovuto aspettare 15 anni prima che il suo primo romanzo venisse pubblicato, fino a quel momento era un uomo che voleva dire qualcosa scrivendo, ma la cui voce, la potenza di amplificazione del suo pensiero, era ostacolata dalla valutazione discrezionale degli editori che non volevano pubblicare il suo “Clandestinità”.
Un uomo nato a Mantova il 30 ottobre 1947, le date a volte ritornano e hanno un significato, nasce a due mesi dall’entrata in vigore della Costituzione.
La sua infanzia, la sua adolescenza e la giovinezza sono state contrassegnate da una condizione familiare anomala, da grave difficoltà ad apprendere e problematico rapporto con la scuola, ma trova nella scrittura la sua dimensione, il suo posto nel mondo, quel qualcosa di insondabile che deve a tutti i costi far uscire dal recinto, dalla necessità di far uscire la parola dai suoi pensieri.
Scrive a trent’anni un romanzo, come lui stesso dichiara “dopo un periodo di deragliamento[4]”, con cui voleva tirar fuori quello che aveva dentro e manifestare il suo io e il suo pensiero. Rifiutato per quindici anni da decine di editori italiani è stato infine accolto da una casa editrice importante (Giulio Bollati e dalla sua Bollati Boringhieri), che gli ha permesso di uscire finalmente dalla condizione di scrittore sotterraneo e invisibile e di poter far sentire la sua voce.
Anche qui l’ironia della sorte, un titolo che rievoca come era clandestina la stampa o la manifestazione del pensiero durante il fascismo, quando esprimeva un parere contrario al regime e un romanzo che per come è strutturato rompe lo schema classico di una certa editoria e per questo viene lasciato per 15 anni in cerca di editore.
Con questa storia voglio far riflettere su cosa intende la Costituzione con libertà di manifestazione del pensiero con ogni mezzo, vuol dire anche aspettando il proprio tempo e dall’altra la libera iniziativa economica dell’editore.
La Repubblica non si impegna in questo caso, come fa per alcuni diritti fondamentali, a fornire i mezzi anche economici per manifestare il proprio pensiero, o a eliminare le barriere economiche per consentirmi la pubblicazione non è una libertà positiva.
Quel consentire a tutti di manifestare il proprio con ogni mezzo, non significa che tutti debbano avere la materiale disponibilità di tutti i possibili mezzi di diffusione, ma vuol, dire invece più realisticamente che a tutti la legge deve garantire la giuridica possibilità di usarne i mezzi, di accedervi con le modalità ed entro i limiti resi eventualmente necessari dalle caratteristiche dei singoli mezzi o della esigenza di assicurare l’armonica coesistenza del pari diritto di ciascuno.
E, aggiungo, entro i limiti della tutela anche di altri interessi costituzionalmente apprezzabili.
in tale caso quindi la mera libertà negativa d’espressione si collega e si intreccia con la libertà di iniziativa economica e con i limiti e le garanzie relative alla stessa.
Il caso dell’editore che non vuole pubblicare un libro (la sua libera iniziativa economica), contro la voglia dell’autore di scriverlo, la sua libera manifestazione del pensiero, per dire quello che pensa sia giusto e che vuole dire o raccontare, con le modalità da lui decise.
il principio che si vuole tutelare con l’art 21 è l’assoluta libertà di espressione, le restrizioni non solo devono rappresentare un’eccezione, ma devo altresì considerare che tale libertà “ non riguarda solo le informazioni o le opinioni accolte con favore o considerate inoffensive o indifferenti, ma concerne – anzitutto e soprattutto- le informazioni e le opinioni che urtano, indispongono, inquietano in quanto è alla base del pluralismo della tolleranza, e dello spirito di apertura senza i quali non si avrebbe una società democratica”[5].
Nella nostra repubblica, nel nostro ordinamento, trova applicazione anche l’art. 10 della convenzione europea dei diritti dell’uomo che sancisce il principio che “ogni persona ha diritto alla libertà di espressione” che consente anche alla stampa di poter svolgere il ruolo che dovrebbe essere di “guardiano dell’informazione”, nel rispetto dell’etica giornalistica e delle norme sulla stampa che dovrebbero comportare una informazione su elementi “affidabili e precisi”.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure ma:
Art 21
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. (comma 5)
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni. (comma 6)
Qual’ è il ruolo della stampa intesa come di chi fa informazione, un tema che sarà certamente sviluppato nella prossima relazione ma che giova fin da subito evidenziare: Tale diritto viene tutelato sia nel momento statico, che significa che ognuno può crearsi un proprio patrimonio di idee, nel momento dinamico, quando si desidera esprimere tali idee, e nel momento negativo, che implica che ciascuno ha il diritto di tenere segrete le proprie opinioni.
Va ad ogni modo precisato che nell’art. 21 si tutela la manifestazione del pensiero, mentre la trasmissione di esso è garantito dall’articolo 15 Cost.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume.
L’articolo 21 vieta non solo le pubblicazioni a stampa, ma anche tutti gli spettacoli e tutte le manifestazioni contrarie al buon costume.
Il concetto raffigura l’insieme dei principi etico-morali tarati sul sentire dell’uomo medio, che non offendano il pudore (ossia “quel senso di riserbo e ombratilità che circonda il fenomeno della riproduzione“, affermava Antolisei) e la pubblica decenza (ossia l’abbandono di ogni forma comunque estrinsecata di turpitudine). Comunemente ci si riferisce alla sfera sessuale, ma rilevano spesso anche vari gesti spregevoli e lascivi.
Nell’ambito delle manifestazioni di culto, la connotazione è assai più stringente, dovendosi fondere con i precetti di morale, decenza, etichetta e cortesia.
Esistono tuttavia alcuni limiti:
- il buon costume, che impedisce di manifestare il proprio pensiero tramite modalità che offendono il comune senso del pudore e la pubblica decenza;
- la riservatezza e l’onorabilità delle persone, che tutelano la dignità, l’onore e la privacy delle persone;
- il segreto di Stato, quando, per i motivi più disparati, un documento è coperto dal segreto, perché la sua divulgazione potrebbe arrecare un pericolo alla sicurezza dello Stato democratico;
- il segreto giudiziario, al fine di garantire il buon andamento dell’amministrazione giudiziaria e per non ledere la reputazione degli imputati, salvo il limite della pubblica rilevanza;
- l’apologia di reato, che in realtà non costituisce una libera forma di manifestazione del pensiero. La glorificazione e l’esaltazione di figure di reato può infatti rappresentare un pericolo per l’ordine pubblico.
Venendo al diritto di cronaca, esso deve rispettare tre principi:
- la verità dei fatti così come appresi e riprodotti sullo stampato. Segue il dovere di compiere una attenta valutazione circa l’attendibilità delle proprie fonti di conoscenza;
- la pertinenza, ovvero l’interesse pubblico alla divulgazione della notizia;
- la continenza, vale a dire la correttezza delle espressioni utilizzate, in maniera tale da non esorbitare in lesioni arbitrarie dell’altrui onore e reputazione.
Le moderne tecnologie consentono di poter utilizzare strumenti e mezzi, come i cc.dd. “social network”, attraverso i quali un individuo può liberamente manifestare opinioni, esprimere concetti e condividere contenuti, comunicando istantaneamente con un elevatissimo numero di persone.
Mentre per la stampa esiste il ruolo del direttore responsabile che si assume la responsabilità civile e anche penale di quanto pubblicato sul suo giornale tale figura non è prevista per social network.
Se per il diritto di cronaca è previsto il rispetto dei principi di verità, pertinenza e continenza, questi principi esistono anche sui social network?
Il diffondersi delle fake news e l’uso ormai distorto dei social network in cui taluno crede di trovare la verità, le vere informazioni, sembrerebbero dire che i social non siano basati su tali principi, né tanto meno possono essere considerate testate giornalistiche.
Tuttavia, anche la “rete” può diventare un mezzo di condivisione del pensiero, oltre che per esprimere la propria socialità, ma può essere anche usato allo scopo di arrecare offesa al prossimo.
E quindi: se la libera manifestazione di pensiero non solo è auspicata, ma anche protetta costituzionalmente, dall’art. 21 Cost., l’insulto, spesso pesante, verso una persona che ne offenda la reputazione integra il reato di diffamazione.
L’art. 595 c.p. punisce, infatti, chi, comunicando con più persone, offende la stima di cui gode un individuo nella società in cui vive in un determinato contesto temporale.
Non è una censura, sono le regole dello Stato di diritto.
La norma prevede, altresì, un’aggravante qualora l’offesa alla reputazione venga arrecata con la stampa o con altro mezzo di pubblicità, tra cui ben possono essere annoverati i “social network”, credo che ormai per l’utente avveduto possano essere considerati strumenti di advertising più che di informazione, ma che consentono di raggiungere con una certa notizia un numero potenzialmente illimitato di destinatari e soprattutto la rendono virale e difficilmente arrestabile se falsa, tendenziosa o offensiva.
Come sottolineato in giurisprudenza, la diffamazione rappresenta una fattispecie più grave della semplice ingiuria che oggi costituisce solo illecito civile, in quanto l’offesa riguarda una persona assente che, quindi, non può difendersi e può riferirsi alla stessa anche se non ne siano esplicitati nome e cognome, essendo sufficiente che ci siano quegli elementi che rendano identificabile, senza alcun dubbio, la vittima.
Ma se quella offesa diventa virale sulla “rete”, come faccio poi a difendermi?
Come ormai noto a tutti, anche su Facebook è possibile creare dei gruppi in cui si condividono certe passioni e argomenti e si scambiano contatti e impressioni. Tuttavia, anche in questo caso, la giurisprudenza ha evidenziato che occorre prestare attenzione alle frasi che si scrivono. Se, infatti, un messaggio che offende l’altrui reputazione viene comunicato anche a sole due persone, ugualmente si tratterà di reato di diffamazione.
Non rileva, quindi, che il gruppo sia particolarmente numeroso o meno, in quanto l’art. 595 fa riferimento solo alla comunicazione con “più” persone, senza specificare, in concreto, quante debbano essere.
Di recente, la Suprema Corte[6] ha avuto modo di precisare che il fatto che il gruppo social sia chiuso non implica per ciò solo che si tratti di un ambiente riservato, e come tale, inidoneo, a costituire il terreno su cui possano nascere vere e proprie ipotesi di diffamazione.
E quindi arrivo ad alcune considerazioni finale che formulo in forma di domanda.
Anche per stimolare la discussione con voi, come ho detto all’inizio della relazione.
Se non posso censurare la stampa, posso censurare Facebook o i social network?
I social network sono diventati strumenti di informazione, che, al pari delle testate online, devono avere un direttore responsabile?
Il moderatore all’interno dei gruppi aperti o chiusi è da considerarsi direttore responsabile?
L’intervento della squadra del social network che dichiara il contenuto inappropriato in base alle regole “della community” e cancella un post è tutela delle regole dello strumento e dei diritti costituzionalmente garantiti o è censura?
Su questi argomenti non ho risposte, solo dubbi e domande, che probabilmente renderanno difficile l’opera del legislatore di oggi e domani e si spera che possa usare la stessa lungimiranza dei nostri Padri Costituenti.
Ravenna lì 12/11/2022
Stefano Foglia
[1] Il testo riportato è un estratto della discussione dell’Assemblea costituente del 14 aprile 1947 sull’art. 21 il cui testo integrale è disponibile sul sito della Camera dei Deputati al seguente link http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed088/sed088nc.pdf.
[2] Il testo qui proposto è relativo alla discussione avvenuta sugli aspetti relativi all’articolo in esame, mentre si rimanda per il testo completo della discussione al testo integrale sul sito www.nascitacostituzione.it a cura di Fabrizio Calzaretti.
[3] V. art. 5 l. 8 febbraio 1948, n. 47.
[4] Come indicato sul sito web dell’autore www.antoniomoresco.semlibri.com.
[5] CEDU 8.7.1986, cfr. Cass. Pen 20.7.2007 n. 25138.
[6] Cassazione sentenza n. 12761/2014.