Il coraggio di ripartire dalla cultura
Sentiamo parlare spesso in Tv e altrettanto leggiamo su quotidiani e riviste di quelli che sono i problemi nei diversi settori dell’economia italiana.
Se volessimo fare una disamina cinica, seppur realistica, delle mancanze e delle lacune nell’italico sistema non faremmo altro che aggiornare l’elenco delle lamentele e delle richieste con un intervento, forse per sua stessa natura, inutile. Burocrazia, mancanza di innovazione, farraginosità varie, l’elenco sarebbe oltremodo lungo e tedioso.
Dalla mia prospettiva di dottore commercialista, con clientela che opera in diversi settori, potrei limitarmi a riscontrare che, in effetti, i problemi ci sono e molti sono trasversali al nostro Sistema Paese.
Questa mia riflessione parte invece da una prospettiva diversa, data da una vera e propria folgorazione connessa ad uno scambio di pensieri e opinioni “a distanza” con un noto scrittore, che mi ha portato a fare un catartico esercizio di proattività. Analizzare un contesto che mi sta particolarmente a cuore, l’economia della cultura, che include all’unisono arte, cultura e spettacolo in tutte le sue forme e cercare di fare qualche proposta concreta.
Parto dall’art. 9 della Costituzione italiana che ci ricorda, ed è un faro verso cui guardare, che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
Sono diversi gli strumenti di aiuto che in questo settore martoriato dell’economia si sta provando a rendere effettivi: sussidi, incrementi dei Fondo FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) per aiutare i lavoratori in crisi e spesso le micro imprese che lo compongono. Anche il Comune di Bologna, città in cui vivo, ha deciso di devolvere le spese stanziate per il capodanno ai lavoratori dello spettacolo, un gesto che gli fa onore.
Tuttavia, l’economia della cultura, in tutte le forme e sfaccettature di cui si compone, è tra i contesti più colpiti dall’emergenza COVID19, tra quelli che ha ricevuto meno aiuti, forse perché si ritiene che la cultura venga dopo altre cose e che le priorità siano altre.
Pensiamo ai disastri connessi ad un intero comparto dell’economia fermo: musei, teatri, cinema, spettacoli dal vivo, danza, musica, scrittori, pittori e artisti con le annesse figure tecniche collaterali necessarie per le performances, in un mondo che per sua stessa natura è mutevole e articolato, che potremmo definire in sintesi le arti. A ciò si aggiunge ovviamente il mondo dello sport, anche dilettantistico, che varrebbe un approfondimento specifico.
Punti importanti di PIL dislocati e arroccati in micro imprese, con lavoratori spesso saltuari e che spesso non hanno quei requisiti per partecipare alla ripartizione dei sussidi, ma che non sanno come sbarcare il lunario. Un’evidente emergenza sociale oltre che economica.
Tornando alla mia professione, fatta anche di numeri, pensare alla cultura come qualcosa di marginale, che non è in cima alla lista delle priorità del Paese potrebbe essere un errore madornale e irreparabile.
Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo, composto da Imprese, Pubblica Amministrazione e Non Profit, genera quasi 96 miliardi di euro e attiva altri settori dell’economia, arrivando a muovere, nell’insieme, 265,4 miliardi, equivalenti al 16,9% del valore aggiunto nazionale. Questi sono gli ultimi dati ante COVID-19 emersi dal Rapporto 2019 “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”. Le industrie culturali producono, da sole, 35,1 miliardi di euro di valore aggiunto (il 2,2% del complessivo nazionale), dando lavoro a 500 mila persone (il 2% degli addetti totali). Un contributo importante arriva anche dalle industrie creative, capaci di produrre 13,8 miliardi di valore aggiunto, grazie all’impiego di quasi 267 mila addetti. Le Performing arts generano, invece, 8,2 miliardi di euro di ricchezza e 145 mila posti di lavoro; al ramo conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico si devono 2,9 miliardi di euro di valore aggiunto e 51mila addetti. A questi quattro ambiti, che rappresentano il cuore delle attività culturali e creative, si aggiungono i rilevanti risultati delle attività creative-driven: 35,8 miliardi di euro di valore aggiunto (il 2,3% del complessivo nazionale) e più di 591 mila addetti (2,3% del totale nazionale).
Questi sono i numeri di ieri, i numeri nello scenario attuale rappresenterebbero una scena presa in prestito dal deserto dei tartari, li scopriremo quando saranno disponibili i dati post COVID19, anche se il quadro è ben chiaro a tutti.
La cultura è, e dovrebbe essere sempre più, uno dei motori trainanti dell’economia italiana, uno dei fattori che più esaltano la qualità e la competitività del Made in Italy. Ma l’economia non vive di compartimenti stagni segregati e senza contatti tra loro. Dell’economia della cultura e dello spettacolo beneficiano anche altre filiere di settore, a cominciare ad esempio da turismo e ristorazione. Investire sulla Cultura genera quindi indotto anche in altri settori dell’economia.
Faccio a questo punto un esempio provocatorio, ipotetico e al tempo stesso iper-realista, in cui l’interazione tra lo scrittore, di cui parlavo all’inizio, e il sottoscritto commercialista forse si fa interessante.
Immaginiamo di assistere come consulente chi vuole produrre un film, non a emergenza finita, ma adesso. D’altronde se vogliamo vedere dei film nel 2021 ed anche nel 2022 occorre produrli e girarli adesso.
Immaginiamo di avere un bel soggetto, un bel romanzo dello scrittore, di avere il regista, di aver selezionato il cast, di avere la sceneggiatura, insomma tutto o quasi pronto. Manca un dettaglio fondamentale: i fondi per poterlo produrre.
Occorrerebbe quindi iniziare a lavorare oggi a pandemia in corso sulla raccolta dei fondi, trovare il produttore, gli investitori, lavorare per i tax credit sulle produzioni cinematografiche in questo contesto attuale.
Immaginiamo di andare insieme al regista e allo scrittore in cerca di un produttore o di finanziatori per un film. Probabilmente in molti alzerebbero le spalle verso l’alto dicendo “progetto interessante, peccato che c’è il Covid”.
Altri non ci riceverebbero nemmeno perché il “Cinema” non garantisce stabili e definiti profitti, altri ancora potrebbero invocare l’aiuto di Stato o maggiori risorse per il Fondo Unitario dello Spettacolo (FUS) dichiarandosi privi di fondi. I fondi pubblici rappresentano un aiuto sempre gradito che “non basta ma aiuta” per citare una famosa réclame pubblicitaria degli anni ‘90, perché spesso finisce col premiare solo poche grandi produzioni in un mondo in cui invece lavorano tante piccole realtà indipendenti.
Cosa diversa e prima proposta potrebbe essere il cercare di convogliare le risorse europee, i fondi comunitari del settore non spesi, in progetti innovativi, affinché si possano sperimentare, in un mondo fatto di sperimentazioni, nuove forme di produzione e di erogazione della cultura.
Occorre che anche lo Stato abbia il coraggio di avere una visione progettuale a medio lungo periodo che punti sull’interconnessione di quanto previsto dall’art. 9 della Costituzione, mettere insieme la ricerca tecnologia e scientifica con la promozione della Cultura e la valorizzazione dei beni culturali.
L’assistenza dello Stato a mio avviso deve esserci anche solo per sollevarci da terra dopo il primo “pugno” ricevuto, ma non può limitarsi al gettone o al ristoro. Sta poi anche a noi metaforicamente metterci in guardia, difenderci dagli altri pugni che arrivano e riprenderci il posto che meritiamo, da uomini, da lavoratori, da imprenditori, da Italia. Lo Stato deve rendere fertile il terreno, sviluppare il sistema, su cui il singolo può e deve intervenire e rendere possibile l’innovazione.
Bisogna avere la forza d’animo di vedere, come ci diceva Schumpeter, anche la distruzione creatrice, la possibilità di innovare sistemi e modi di pensare, di creare con la nostra italica creatività qualcosa di nuovo per ripartire.
L’Innovazione sia tecnologica, sia di pensiero, che possa consentire l’avvio di quella reazione necessaria per far ripartire l’Italia. Immaginare il digitale nella Cultura come nuova normalità della fruizione delle esperienze culturali.
Ci sono già gli strumenti di incentivazione fiscale dello sviluppo tecnologico, si pensi al tax credit per società o persone fisiche che investono in start-up innovative (dal 30% al 40% di quanto investito), c’è il tax credit per produzioni cinematografiche ( dal 15 al 30% di quanto investito). E’ sempre possibile potenziare e migliorare questi strumenti.
Come seconda proposta ritengo sia necessario inserire l’ incentivazione fiscale all’interno di un sistema di promozione e sostegno dell’economia della cultura ad opera dello Stato, per renderlo effettivo e per sviluppare effetti positivi sul Pil. Così, partendo dalla Cultura, a l’effetto positivo cascata potrà propagarsi su tutte le filiere interconnesse, a partire da turismo, ristorazione, beni culturali etc.
Penso anche che noi cittadini dobbiamo smettere di aspettare soltanto l’ “aiuto dall’alto” e sia arrivato il momento del coraggio, nulla di rivoluzionario, semplicemente avere il coraggio di essere italiani e di fare ciascuno la propria parte. La terza proposta è rivolta a ciascuno di noi, dobbiamo avere coraggio.
Il coraggio a cui mi riferisco è il non fermarsi alle richieste di aiuto, ma continuare a fare più di sempre, di poter ritrovare il genio italico, quello che ci rende unici e amati nel mondo, la nostra creatività, in tutti i settori.
A mio avviso occorre avere il coraggio di Don Chisciotte, che in apparenza, per un osservatore disattento o mediocre, potrebbe sembrare una follia o il sogno di uno strano personaggio.
Ma in realtà è la disperata voglia di essere proattivi e di combattere contro mulini a vento, contro virus invisibili, contro lo strazio della morte vissuta da soli in una stanza di ospedale o del disagio economico.
Occorre andare oltre gli schemi, gli schemi finanziari o del cost saving, della burocrazia, anche economica, che abbiamo fin qui vissuto e investire con coraggio e sapienza per creare un nuovo Sistema Italia.
Lo scrittore di cui accennavo all’inizio direbbe con sue parole che occorre “avere l’incapacità di arrendersi al mondo pandemico e lottare per creare un nuovo mondo. La forza di non farsi irretire dalle forme cangianti del mondo, di vedere la cultura come candida luce per alzarci dal buio in cui è sprofondato il mondo. C’è il bisogno e forse anche il desiderio di non attestarsi su ciò che ho già fatto e ho imparato a fare, ma di cercare sempre nuove strade, nelle piccole cose come nelle grandi, di continuare a cantare sempre nuovi canti ”. Occorre combattere, con la Cultura, paura e desolazione.
In conclusione penso che si possa e si debba fare un’operazione rivoluzionaria con lo spettacolo, la cultura, l’arte: guardare oltre la battaglia del COVID19 e il disagio economico che tutti speriamo di superare. Creare con la Cultura la fiducia e l’ottimismo, tornare a fare sognare, investendo tempo e denaro nella cultura non in maniera spot, ma con una filiera di sistema organica e interconnessa.
Occorre sfruttare l’innovazione, le idee e le tante opportunità connesse alla tecnologia, dare agli incentivi fiscali una prospettiva ampia per renderli più fruibili ai singoli e integrati nel sistema paese.
Dobbiamo essere degli odierni Don Chisciotte nel senso di avere il desiderio di vedere il mondo in un altro modo, per noi stessi, per i nostri figli, lasciando che la bellezza e il coraggio della cultura non siano dei mulini a vento, ma che anzi col vento prodotto spazzino via tutte le insidie e le problematiche della pandemia, partendo da un solo piccolo passo fatto da ciascuno di noi.
Basta ripensare con innovazione il mondo della Cultura, andare al cinema, ad una mostra, ad un concerto, in qualunque forma, anche virtuale essa sia.
In fondo, come tanti, anche i commercialisti hanno un’anima.
Stefano Foglia