Ho letto tre volte questo libro.
La prima volta il fuoco era troppo forte, ne sentivo ancora il dolore e le lacrime: in definitiva mi ha fatto male.
Circa un anno e mezzo dopo ci ho riprovato, come uno scolaretto che deve fare i compiti.
La seconda è stata ammirazione e la risata connessa all’apprezzamento del gioco con cui, con le parole sezionate, Costantino si divertiva a dire e soprattutto a non dire, lasciando la speranza, per chi leggeva, dell’intuizione.
Pagine finite, interpretazioni contrastanti: una prima parte che adoravo ed una seconda che non intendevo, mi sembrava rotto e contrastante.
Mi sono scottato di nuovo e l’ho riposto sullo scaffale.
Ci ho rimesso altri due anni a riprenderlo in mano.
La terza volta mi porta a dissentire in parte con la presentazione di Mal di Fuoco presente nella quarta di copertina: “tra romanzo e aforisma”.
Nulla è lasciato al caso dall’autore, ho la sensazione che ci siano dei puntini messi in maniera specifica, solo apparentemente casuali o scollegati, che nascondono messaggi che possono essere ermetici, criptici o chiari a seconda dell’interlocutore che raggiungono.
È da un po’ che rifletto sulla sua poetica di Jonny Costantino, dal cinema agli scritti.
È un puzzle, che l’autore va componendo nel tempo senza tempo.
Ci ritrovo un ben delineato rigore scientifico, celato nella solo apparente frammentarietà.
Veniamo alla terza.
Per me la chiave è apparsa nascosta tra le sintesi dei suoi frammenti scomposti e ricomposti, a volte decomposti.
Un testo che trasmette messaggi utilizzando i canali delle arti per divulgarli, siano essi tramite gli occhi, la bocca, le orecchie, (Cinema, Arte, Scrittura) o un arto tagliato, se preferite.
Per me Mal di Fuoco è un libro di filosofia sotto le vesti di versi poetici.
Colpito dal fuoco e folgorato.
Stefano Foglia