Sancho per me ha un sapore speciale.
Il sapore dello spritz da cui nasce, ma non solo.
Nessun eccesso, tranquilli, sono un fautore della scrittura sobria.
Ma il giorno in cui è nato nella mia mente abbiamo bevuto proprio uno spritz in compagnia di un caro amico, uno di quelli con la A.
Si parlava di alcuni progetti di lavoro e soprattutto dei suoi lavori.
Si rifletteva insieme su quanto sia difficile in Italia vivere di cultura, nonostante i dati dell’economia della cultura.
Ci siamo sentiti, nel ragionare su alcuni progetti di cinema e sul cinema, come due novelli Don Chisciotte.
O per meglio dire, lui era il Don, troppo elevato con lo spirito per me, lui viaggia all’altezza delle stelle, filosofeggia con e senza macchina da presa o penna.
In quel preciso momento mi sono sentito Sancho, spaesato e confuso, fortunatamente non così Panza e così ne è nata una disquisizione tra il poetico e lo sfottente.
Gli dissi che secondo me, dal mio punto di vista di neanche apprendista, di aspirante scrittore, per me il vero protagonista del Chisciotte è sempre stato il povero Sancho.
Perché nel mio io l’ho sempre sentito più vicino all’oggi, alla pancia per l’appunto, alla bassezza dei nostri tempi, che intendiamoci ha bisogno del Don, ma per elevarsi e andare oltre il vecchio sé stesso, e cambiare pelle.
Ma che è anche altro.
Il mio punto di vista ha stuzzicato l’Amico, che citando un paio di veri scrittori che la vedevano come me, da vero Maestro mi guarda sornione e mi dice:
“Perché non fai un racconto su questa tua idea, se stai sulle 5000 parole e sono buone vediamo se qualcuno le pubblica”.
Ho capito soltanto alcuni mesi dopo che aveva trasmesso in me, con i suoi occhi, la scintilla, le parole sono diventate 9000 e sono seguiti altri 9 racconti che compongono la raccolta Amunì.
Viva il Don e Viva la rivoluzione dei sognatori.
Stefano Foglia
Immagine Don Quixote et Sancho Panza (1866-68) di Honoré Daumier